Nel mio giardino c'erano dei vecchi alberi di gelso.
Li aveva piantati ancora mio nonno.
In autunno mi furono dati circa cinque grammi di uova di bachi da seta e mi si consigliò di allevarli per coglierne poi la seta.
Queste uova erano di color grigioscuro, e così piccole che in quei cinque grammi ne potei contare cinquemila ottocento trentacinque.
Erano più piccole della più piccola capocchia di spillo ed erano assolutamente inanimate; soltanto quando le si schiacciava, mandavano un lieve scricchiolio.
Quelle piccole uova rimasero lì sul mio tavolo, e io quasi me ne dimenticai.
Ma un giorno di primavera scesi in giardino e notai che le gemme del gelso incominciavano a ingrossare, e dalla parte esposta al sole spuntavano già le foglie.
Mi ricordai allora delle uova di bachi e, rientrato in casa, cominciai a sceglierle e a stenderle meglio sul tavolo.
Una gran parte di quelle uova non erano più grigioscuro come prima, ma alcune avevano assunto una tinta grigiochiara, altre addirittura chiarissima con sfumature bianche come il latte.
Il giorno dopo, di buon mattino, tornai a guardarle e mi avvidi che da alcune erano già usciti dei piccoli bruchi, mentre le altre si erano gonfiate.
Le bestioline evidentemente avevano sentito, di dentro al guscio, che il loro cibo era maturo.
I vermiciattoli erano neri, pelosi e così piccoli che riusciva difficile distinguerli.
Li guardai con la lente di ingrandimento e notai che essi, dentro al piccolo ovetto, stavano arrotolati ad anello e appena uscivano si raddrizzavano.
Scesi in giardino a raccogliere foglie di gelso; ne presi tre manciate, le misi sul tavolo e mi accinsi a sistemare per i bachi un posto adatto come mi avevano insegnato.
Mentre stavo preparando la carta, i bacherozzoli avevano fiutato lì sul tavolo il loro cibo ed erano strisciati verso le foglie.
Le spostai e presi ad attirarli con una foglia, ed essi, come cani dietro un pezzo di carne, strisciarono verso le foglie sul piano del tavolo, scavalcando matite, temperini e carte.
Allora preparai della carta, ci feci tanti forellini con il temperino, vi posai sopra le foglie, e ricoprii i piccoli bachi con carta e foglie.
I piccoli bachi attraverso quei forellini, si arrampicarono sulla carta e cominciarono a mangiare.
Sugli altri bachi, a mano a mano che uscivano dall'involucro, posi allo stesso modo la carta coperta di foglie; tutti si arrampicarono dai forellini e incominciarono a mangiare.
Su ogni foglio di carta i vermiciattoli si raccoglievano insieme e intaccavano le foglie dagli orli.
Poi, quando avevano mangiato tutto, si mettevano a strisciar sulla carta alla ricerca di nuovo cibo.
Allora io ponevo sopra di essi nuovi fogli di carta bucherellata, coperti di foglie di gelso, e quelli continuavano ad arrampicarsi verso il nuovo cibo.
Li avevo sistemati sopra un palchetto, nella mia stanza.
Quando le foglie erano esaurite, essi strisciavano per il palchetto, giungevano proprio sull'orlo ma non cadevano mai, sebbene i bacolini siano ciechi.
Non appena una di queste bestiole giunge al punto dove inizia il vuoto, prima di lasciarsi cadere mette fuori dalla bocca come un filo di ragnatela, si attacca con esso all'orlo dell'asse, si lascia cadere, penzola nel vuoto, si guarda in giro e se gli va di scendere, scende, e se vuol tornare indietro ci ritorna risalendo lungo il filo di ragnatela.
Per ventiquattro ore filate i bacolini non fecero che mangiare.
E bisognava procurar loro sempre maggior quantità di foglie.
Quando si porta loro foglie fresche, ed essi vi si mettono sopra, si ode un fruscio come di gocce d pioggia sul fogliame: sono loro che incominciano a mangiare.
A questo modo i bachi che erano stati i primi a uscire vissero per cinque giorni.
Erano ormai molto cresciuti e mangiavano dieci volte più di prima.
Sapevo che al quinto giorno avrebbero dovuto addormentarsi e aspettavo che ciò accadesse.
Verso la sera del quinto giorno un bacco tra i più vecchi restò attaccato alla carta, e smise di mangiare e di muoversi.
Durante le successive ventiquattro ore passai lungo tempo a osservarlo.
Sapevo che i bachi mutano parecchie volte la pelle precedente, si rivestono a nuovo.
Io e un mio compagno sorvegliavamo a turno.
Verso sera il mio compagno gridò:
- Ha cominciato a spogliarsi, vieni!
Io accorsi e vidi che infatti il vermiciattolo si era aggrappato alla carta con la vecchia pelle, l'aveva lacerata vicino alla bocca, aveva messo fuori la testa e si dimenava e contorceva come se volesse uscirne, ma pareva che la vecchia pelle non glielo consentisse.
A lungo rimasi a osservare come si agitava senza potersi liberare, e mi venne voglia di aiutarlo.
Lo toccai appena con l'unghia, ma subito mi avvidi di aver fatto una sciocchezza.
Sotto l'unghia mi era rimasto qualcosa di liquido, e il baco morì.
Al momento pensai che fosse sangue, ma poi seppi che i bachi hanno sotto la pelle un liquido che li aiuta, come un lubrificante, a scivolare fuori più facilmente dal loro involucro.
Con l'unghia io avevo senza dubbio danneggiato questo nuovo involucro giacché il baco, sebbene fosse riuscito a venir fuori da quello vecchio, morì poco dopo.
Gli altri non li toccai più, e tutti, allo stesso modo, sbucarono a fatica dalla loro camicia; soltanto alcuni andarono a male; quasi tutti, sebbene dopo lunghi e tormentosi sforzi, riuscirono a tirarsi fuori.
Dopo la muta i bachi si misero a mangiare ancora di più, e la foglia andava consumandosi rapidamente.
Dopo quattro giorni si addormentarono di nuovo e di nuovo ripresero a uscire dalla pelle.
La foglia spariva sempre più in fretta, e i bachi avevano ormai raggiunto la lunghezza di mezzo centimetro.
Poi, di lì a sei giorni, si riaddormentarono, e di nuovo cambiarono pelle e incominciarono a essere lunghi e grossi, tanto che noi facevamo appena in tempo a procurar loro il cibo.
Al nono giorno i bachi più anziani cessarono del tutto di mangiare e li vedemmo strisciare su per il palchetto e le sue colonnine.
Io li riunii e li deposi su foglie fresche, ma essi voltavano la testa dall'altra parte e strisciavano via.
Mi ricordai allora che, quando i bachi sono pronti per fare il bozzolo, smettono completamente di mangiare e si arrampicano verso l'alto.
Li lasciai in pace e mi misi a osservare che cosa avrebbero fatto.
Gli anziani s'inerpicarono sino al soffitto, andarono ciascuno per conto proprio e, sempre strisciando, cominciarono a tendere il loro filo in direzioni diverse.
Ne seguii con lo sguardo uno.
Si ritirò in un angolo, tese sei fili lunghi circa cinque centimetri, in tutte le direzioni; ci si sospese sopra, si piegò in due, a forma di ferro di cavallo, e cominciò a girar la testa secernendo un filo di seta, in modo da attorcigliarselo attorno.
Verso sera era già, come in una nebbia, avvolto nella sua ragnatela.
Lo si vedeva appena; e quando fu mattina era ormai invisibile.
Si era già tutto avvoltato di seta, e continuava tuttavia nel suo lavoro.
Dopo tre giorni smise quel movimento e morì.
In seguito venni a conoscere la lunghezza del filo che un baco emette durante quei tre giorni.
Dipanando tutto quel filo se ne trovano generalmente più di mille metri; di rado meno.
E se si calcola quante volte il baco deve aver girato la testa durante quelle tre giornate per emettere tutto il suo filo, risulterebbe che esso ha girato attorno a se stesso ben trecentomila volte.
Il che equivale a un giro al secondo, senza soste.
Quando, dopo tutto quel lavoro, andammo a prendere alcuni bozzoli e li aprimmo, ci trovammo dentro dei vermiciattoli completamente disseccati, bianchi, simili a cera.
Non ignoravo che dai bozzoli contenenti quei bianchi, cerei cadaveri, dovevano uscire delle farfalle, ma guardandoli non potevo crederci.
Tuttavia, passati venti giorni, rimasi a osservare ciò che sarebbe accaduto a quelli che avevo lasciato intatti.
Nel ventesimo giorno, infatti, sapevo che doveva avvenire la trasformazione.
Ma non si vedeva nulla, e io già pensavo che qualcosa non andasse bene quando, tutt'a un tratto, notai che uno di quei bozzoli si era alla cima annerito e inumidito.
Mi stavo domandando se per caso esso non fosse andato a male ed ero già sul punto di gettarlo via.
Ma poi mi dissi che forse quello era l'inizio della trasformazione e rimasi in osservazione.
E infatti da quel punto umido e scuro qualcosa si mosse.
Per un pezzo non riuscii a capire di che si trattasse, ma poi apparve una cosa simile a una testina con baffetti.
Quei baffetti si muovevano.
Poi notai ancora una zampina che spuntava da un piccolo foro e poi un'altra, e queste zampine cercavano un appoggio e tentavano di sbucar fuori dal bozzolo.
Non sapevo che cosa si spingeva fuori sempre di più; e finalmente distinsi una farfalla tutta bagnata.
Allorché tutte e sei le zampette si furono liberate, spuntò anche la parte posteriore, e la farfalla rimase lì.
Quando fu ben asciutta divenne bianca, spiegò le ali, prese il volo, fece qualche giro e andò a posarsi su una finestra.
Di lì a due giorni la farfalla depose le uova, l'uno accanto all'altro, sul davanzale.
Quegli ovetti erano gialli.
Venticinque farfalle deposero le uova, e io ne raccolsi cinquemila.
L'anno successivo allevai un maggior numero di bachi e ottenni una maggior quantità di seta.