Passione

Aforismi

Il cigno di porpora

Il vecchio capo di una tribù indiana stava per morire.
Chiamò i suoi tre figli e parlò loro per l'ultima volta, seduto sul suo giaciglio di pelli, con il viso rivolto verso il Sole che tramontava.
Disse:

- Tra poco partirò per le Praterie Senza Fine, ma prima di cominciare il mio lungo viaggio senza ritorno, voglio farvi un dono.

Frugò tra le pelli, prese una grande faretra decorata con aculei di porcospino e la porse al figlio maggiore con queste parole:

- Qui dentro ci sono tre frecce magiche.
Prendetele e custoditele con cura.
Mi furono date da mio padre, un famoso guerriero, che a sua volta le aveva ricevute da suo nonno, un grande cacciatore.
E ora lasciatemi, voglio restare solo.


Il giorno dopo il vecchio capo morì e venne sepolto con tutti gli onori perché era stato un uomo coraggioso e saggio.
I tre fratelli lo piansero a lungo e, ricordando le sue ultime parole, custodirono con cura la faretra e le frecce magiche che avevano ereditato.
Un giorno il fratello più giovane, Ojwa, uscito per andare a caccia, vide nella foresta una traccia fresca di orso, la seguì, e siccome era un bravo corridore, riuscì a raggiungere l'animale e ad ucciderlo prima che il Sole tramontasse.
Aveva appena cominciato a scuoiarlo quando il cielo diventò color porpora e uno strano, malinconico canto salì dal punto in cui il colore era più acceso.
Lasciò cadere il coltello e si inoltrò nella foresta, guidato da quello splendore.

Corri e corri, alla fine si trovò sulle rive di un grande lago.
E là dove la superficie azzurra dell'acqua sembrava toccare il cielo in fiamme, gli apparve un meraviglioso cigno color porpora, dal lungo collo.
Era il cigno a cantare e la sua voce era così triste e suggestiva che dava i brividi.
Ojwa sentì nascergli nel cuore un desiderio prepotente di impadronirsi di quell'uccello stupendo. Imbracciò l'arco e tirò diverse frecce.
Ma, come per incantesimo, nessuna raggiunse il bersaglio.
E intanto, la voglia di prendere il cigno cresceva, cresceva.
Che fare?
D'un tratto Ojwa si ricordò dell'eredità del padre.
Tornò al villaggio, afferrò le tre frecce magiche e riprese di nuovo la strada del lago.
Il cigno di porpora era sempre là, immobile, come in attesa, e il suo canto continuava a diffondersi nell'aria.
Ojwa lanciò la prima delle frecce magiche e la vide cadere molto lontano dalla preda.
Provò con la seconda e andò un po' meglio; la terza, finalmente, raggiunse il bersaglio, ma lo sfiorò appena.
Il cigno sbatté le ali, si alzò in volo e scomparve tra le nubi incendiate dal tramonto.
Il suo canto svanì e sul lago piombò un gran silenzio.
Ojwa non riusciva a credere di aver sbagliato la mira, lui un cacciatore così esperto!
Doveva esserci sotto qualcosa!
Era arrabbiatissimo, ma la sua rabbia si spense quando si rese conto di aver perduto, per colpa del cigno, le preziose frecce magiche che appartenevano anche ai suoi fratelli.
E si sentì invadere dal rimorso.

- Devo ritrovarle.

Disse.

- Nostro padre le aveva lasciate in eredità a tutti e tre.

Senza esitare si tuffò nelle acque fredde del lago, e dopo lunghe ricerche, trovò due frecce soltanto.
Su una era rimasta attaccata una delle piume purpuree del cigno.
Le prese, le ripose nella faretra e si incamminò alla ricerca dell'inafferrabile uccello, chiedendosi dove fosse andata a finire l'ultima freccia.
Camminò per tutta la notte e per tutto il giorno seguente, finché giunse ad un villaggio indiano.
Il capo in persona gli dette il benvenuto, gli offrì del cibo caldo e un alloggio per la notte; la mattina seguente gli regalò un paio di mocassini nuovi perché quelli che aveva erano ormai consumati, e poi sua figlia, una fanciulla bella come la luna, accompagnò il viaggiatore per un tratto di strada.
Cammina e cammina, al calar della notte Ojwa giunse ad un altro villaggio.
Anche qui ebbe cibo, alloggio e un paio di mocassini nuovi e, quando fu il momento di ripartire, la figlia del capo, bella come il sole, accompagnò il viaggiatore per un tratto di strada.
Era di nuovo notte fonda quando Ojwa, stanchissimo, vide una luce brillare, lontano lontano e si affrettò da quella parte.
Il lume brillava in una capanna solitaria, Ojwa entrò.
Dentro c'era un vecchio che lo salutò amichevolmente e gli disse:

- Ti ho atteso a lungo.
Io so chi sei e dove vai.
Cerchi il cigno di porpora, vero?


- Sì.

Rispose Ojwa, stupito.

- Quel cigno,

riprese il vecchio,

- vive a molte ore di cammino da qui, insieme a suo fratello, un mago molto potente.
Tanto tempo fa, il mago perse lo scalpo combattendo contro dei nemici e, da quel giorno, deve sopportare terribili sofferenze che cesseranno solo quando un giovane coraggioso glielo restituirà.
Sappi che il cigno canta maliconicamente perché ha pietà del suo povero fratello.


Ojwa ascoltava, senza perdere una parola.

- E sappi anche,

concluse il vecchio,

- che tutti coloro che prima di te sono stati affascinati da quel canto ed hanno cercato di recuperare lo scalpo, sono morti.

- Io non ho paura.

Disse Ojwa.

- Troverò lo scalpo del mago, con l'aiuto degli spiriti buoni che mi proteggono.

- Ci riuscirai solo se, una volta alla presenza del mago, non guarderai la sua testa calva alla luce del giorno.

Lo avvertì il vecchio.

- Aspetta la notte, altrimenti impazziresti per la paura.

- Me ne ricorderò.

- E quando tenterai di portare via lo scalpo a coloro che lo hanno tolto al mago, non dimenticarti della piuma color porpora che hai trovato attaccata alla freccia: ti aiuterà.
Ora dormi, riposati e domattina ti indicherò la strada giusta.


Quella notte Ojwa dormì profondamente; all'alba il vecchio lo svegliò e lo accompagnò per un tratto di strada attraverso la foresta.
Si fermò quando si sentirono echeggiare nell'aria i lamenti del mago.
Allora disse a Ojwa:

- Da qui in avanti devi proseguire da solo.
E non dimenticare i miei consigli.


Ojwa ringraziò il vecchio e si nascose tra i cespugli, in attesa che si facesse notte.
Solo quando il buio fu fitto entrò nella capanna del mago e vide un uomo che si lamentava, seduto vicino al fuoco.
La sua testa senza scalpo aveva un aspetto così orribile che, per un momento, Ojwa sentì una gran voglia di fuggire via.
Poi ripensò al cigno di porpora, riprese coraggio, si avvicinò al mago e gli disse:

- Voglio ritrovare il tuo scalpo: dove si trova?

- Devi avere un gran coraggio se osi guardarmi, ridotto come sono.

Rispose il mago.

- Bene, accetto l'aiuto che mi offri.
Il mio scalpo si trova nell'accampamento di una tribù indiana a tre giorni e tre notti di cammino da qui, in direzione del sole che tramonta.
Se me lo restituisci, avrai la freccia magica che hai perduto e, in più, anche un bellissimo dono.


- Riavrai il tuo scalpo.

Promise Ojwa.
E, senza neanche riposarsi un poco, si mise in cammino in direzione del Sole che tramonta.
Camminò per tre giorni e tre notti e finalmente vide un grande accampamento con tante tende disposte in cerchio intorno a una radura.
In mezzo alla radura c'era un palo e, appeso al palo, c'era lo scalpo del mago.

Ojwa si fermò per riflettere.
C'erano centinaia di guerrieri armati, in giro: come arrivare fino al palo e impadronirsi dello scalpo senza scatenare una battaglia che, per lui, sarebbe stata la morte sicura?
Pensa e ripensa, ricordò i consigli del vecchio, tirò fuori la piuma del cigno e la accarezzò piano.
Essa si trasformò in un martin pescatore dai colori splendenti e volò verso il palo, con la piuma nel becco.
Alla luce dei fuochi, gli Indiani videro quell'uccello così bello e gli lanciarono addosso una nube di frecce, ma nessuna lo colpì.
Il martin pescatore si posò sul palo, prese tra le zampette lo scalpo e volò via velocissimo, lontano dall'accampamento.
Quando si sentì al sicuro si posò a terra, lasciò cadere la piuma purpurea e, riprese sembianze umane, corse alla capanna del mago.
Il mago aspettava Ojwa con ansia; non appena ebbe lo scalpo, se lo mise in testa e subito si trasformò in un uomo alto e bello, sorridente e gentile.

- Hai compiuto una buona azione,

disse ad Ojwa,

- ed io ho ripreso il mio vero aspetto.
Eccoti la freccia magica, e anche il dono che ti avevo promesso.


Il mago batté le mani e da un angolo buio della capanna si fece avanti la più bella fanciulla che mai si fosse vista nel paese degli Indiani.
Aveva labbra rosse come le bacche del bosco, occhi grandi come una cerbiatta e capelli color della notte.

- Io sono il cigno di porpora.

Disse.

- E anche per me l'incantesimo è finito.
Se vuoi, diventerò tua moglie.


- Lo voglio, lo voglio!

Gridò Ojwa, al settimo cielo.
Così il giorno seguente, salutato il mago, Ojwa e la bella fanciulla partirono.
Avevano un lungo cammino da fare per raggiungere il villaggio dello sposo dove avrebbero vissuto insieme, felici, per tutta la vita.