Passione

Aforismi

Il tamburino

Una sera, un giovane tamburino se ne andava solo per i campi, arrivò alle rive di un lago; e là vide distesi tre pezzetti di candido lino.

- Che tela sottile!

disse, e se ne mise uno in tasca.
Andò a casa, non pensò più a quel che aveva trovato e si coricò.
Stava per addormentarsi, quando gli parve che qualcuno lo chiamasse per nome.
Stette in ascolto e sentì una voce sommessa, che lo chiamava:

- Tamburino, tamburino, svegliati!

Siccome era notte fonda, non potè veder nessuno ma gli parve che una figura si librasse al volo, su e giù davanti al suo letto.

- Cosa vuoi?

domandò.

- Rendimi la mia carnicina,

rispose la voce,

- che mi hai portato via ieri sulla riva del lago.

- La riavrai,

disse il tamburino,

- se mi dici chi sei.

- Ah,

rispose la voce,

- sono la figlia di un gran re; ma son caduta in balia di una strega e sono confinata sul monte di vetro.
Ogni giorno devo bagnarmi nel lago con le mie due sorelle, ma senza la mia carnicina non posso più volar via.
Le mie sorelle se ne sono andate, io invece ho dovuto rimanere.
Ti prego, rendimi la mia carnicina!


- Sta' tranquilla, povera bimba,

disse il tamburino,

- te la rendo ben volentieri.

La trasse di tasca e gliela porse nell'oscurità.
Ella la prese in fretta e furia e voleva scappar via.

- Aspetta un momento,

diss'egli,

- forse ti posso aiutare.

- Aiutarmi puoi soltanto se sali sul monte di vetro e mi togli di mano alla strega.
Ma al monte di vetro non arrivi, e, se anche ci arrivassi vicino, non puoi salire.


- Quel che voglio, posso,

disse il tamburino

- Tu mi fai tanta pena e io non ho paura di nulla.
Ma non so la strada, che conduce al monte di vetro.


- La strada attraversa il gran bosco, dove abitano gli orchi, che mangiano gli uomini,

rispose la fanciulla,

- di più non posso dirti.

Poi egli l'udì partire con un frullar d'ali.
Allo spuntar del giorno si mise in cammino, col tamburo a tracolla, e senza paura andò dritto nel bosco.
Dopo aver camminato un pezzetto senza vedere nemmeno un gigante, pensò:

- Devo svegliare quei dormiglioni.

Prese il tamburo e prese a battere così forte, che gli uccelli volarono via dagli alberi.
Di lì a poco si alzò anche un gigante, che aveva dormito sdraiato nell'erba, ed era alto come un abete.

- Nanerottolo,

gli gridò,

- cosa vieni a battere il tamburo per svegliarmi sul più bello?

- Suono,

rispose l'altro,

- perché ne vengono a migliaia dietro a me, e devono saper la strada.

- Cosa vogliono qui nel mio bosco?

domandò il gigante.

- Vogliono farti la festa e ripulire il bosco da un mostro come te.

- Oh,

disse il gigante,

- io vi schiaccio come formiche.

- Credi forse che potrai far qualcosa contro di loro?

disse il tamburino,

- se ti chini per abbrancarne uno, ti schizza via e si nasconde; ma quando tu ti corichi e dormi, saltan fuori da tutti i cespugli, e ti strisciano addosso.
Ognuno ha alla cintura un martello d'acciaio, e così ti sfondano il cranio.


Il gigante, impensierito, si disse:

- Se mi metto con questi furbacchioni, potrebbe andarmi male: lupi e orsi li strangolo a mio piacere ma dai lombrichi non posso difendermi.

- Senti, piccolino,

gli disse,

- torna indietro; ti prometto che d'ora in poi lascerò in pace te e i tuoi compagni; e, se desideri qualcos'altro, dimmelo: ti aiuterò.

- Tu hai le gambe lunghe,

disse il tamburino,

- e puoi correre più in fretta di me: portami al monte di vetro, così darò ai miei il segno della ritirata, e per stavolta ti lasceranno in pace.

- Vien qua, vermiciattolo,

disse il gigante,

- mettiti sulla mia spalla, ti porterò dove vuoi.

Il gigante lo sollevò e di lassù il tamburo si mise a rullare a più non posso.
Il gigante pensò:

- Sarà il segno che gli altri devono ritirarsi.

Dopo un po' trovarono per strada un altro gigante, che tolse al primo il tamburino e se lo mise all'occhiello.
Il tamburino afferrò il bottone, che era grosso come un piatto, ci si aggrappò e si guardava attorno tutto allegro.
Poi incontrarono un terzo gigante, che tolse il ragazzo al secondo e lo mise sulla tesa del cappello; lassù il tamburino passeggiava avanti e indietro e guardava al di sopra degli alberi; e quando nell'azzurra lontananza vide un monte, pensò:

- E certo il monte di vetro. E infatti lo era.
Il gigante non ebbe che da far altri due passi, ed eccolo ai piedi del monte, dove pose a terra il tamburino. Questi gli chiese di portarlo anche sulla cima del monte di vetro, ma il gigante scosse la testa, brontolò qualcosa nella barba e tornò nel bosco.
Ora il povero tamburino se ne stava davanti al monte, che era alto come tre monti messi assieme e per di più liscio come uno specchio; e non sapeva come salire.
Prese ad arrampicarsi, ma invano: tornava sempre a scivolare giù.

- Ah, se fossi un uccello!

pensava, ma desiderarlo non bastava: non gli crescevan le ali.
Mentre se ne stava là e non sapeva a che santo votarsi, scorse non lontano due uomini, che litigavano aspramente.
S'avvicinò e vide che litigavano per una sella, che era in terra davanti a loro, e ognuno la voleva per sé.

- Che matti siete!

disse.

- Litigate per una sella e non avete il cavallo!

- La sella vai bene questa lite!

rispose uno degli uomini

- Chi ci sta seduto e desidera essere in qualche luogo, foss'anche in capo al mondo, ci arriva appena espresso il desiderio.
La sella è in comune, e montarci tocca a me,


ma l'altro non ne vuol sapere.

- La lite la decido subito io!

disse il tamburino; si allontanò un tratto e piantò in terra un bastone bianco.
Poi tornò indietro e disse:

- Adesso correte fino al segno: chi arriva prima, monta prima in sella.

I due si misero al trotto; ma avevano fatto pochi passi, che il tamburino saltò in sella, desiderò di essere sul monte di vetro e ci fu in un batter d'occhio. In cima al monte c'era una piana e, sulla piana una vecchia casa di pietra; davanti alla casa c'era una gran peschiera e dietro, un bosco tenebroso.
Uomini e animali non ne vide; c'era dappertutto un gran silenzio: soltanto il vento mormorava fra gli alberi, e le nubi passavano, quasi sfiorando il suo capo.
Egli si avvicinò alla porta e bussò.
Quando ebbe bussato per la terza volta gli aprì una vecchia dal viso scuro e dagli occhi rossi; sul lungo naso aveva un paio d'occhiali e lo guardò fisso; poi gli domandò cosa desiderasse.

- Poter entrare, vitto e alloggio per la notte!

rispose il tamburino.

- L'avrai,

disse la vecchia,

- se in cambio vuoi far tre lavori.

- Perché no?

rispose,

- non rifiuto un lavoro, per difficile che sia.

La vecchia lo fece entrare, gli diede da mangiare e la sera gli offrì un buon letto.
La mattina, quando il tamburino si svegliò, la vecchia si tolse dal dito scarno un ditale, glielo porse e disse:

- Adesso mettiti al lavoro, e con questo ditale vuota la peschiera là fuori.
Ma devi aver finito prima di notte, e tutti i pesci che sono nell'acqua devono esser scelti e messi in fila, secondo la loro specie e grandezza.


- È uno strambo lavoro!

disse il tamburino, ma andò alla peschiera e cominciò ad attinger l'acqua. Attinse per tutta la mattina, ma cosa si può fare con un ditale in un grande stagno, anche a starci mille anni?
A mezzogiorno egli pensò:

- È proprio inutile, ed è lo stesso che lavori o no.

Si mise a sedere.
Ed ecco, dalla casa arrivò una fanciulla, che gli porse un panierino col desinare e disse:

- Sei qui tutto triste: che hai?

Egli la guardò e vide che era bellissima.

- Ah,

disse,

- del primo lavoro non posso venirne a capo, cosa succederà con gli altri?
Sono in cerca di una principessa che deve abitar qui ma non l'ho trovata: voglio continuare il mio viaggio.


- Resta!

disse la fanciulla,

- ti aiuterò io.
Tu sei stanco: mettimi la testa in grembo e dormi!
Quando ti sveglierai, il lavoro sarà fatto.


Il tamburino non se lo fece dire due volte.
Appena gli si chiusero gli occhi, ella girò un anello magico e disse:

- Su, acqua! fuori, pesci!

Subito l'acqua s'innalzò come una bianca nebbia e se ne andò con le altre nubi, e i pesci di botto saltarono sulla riva e si misero l'uno accanto all'altro, secondo la specie e la grandezza.
Quando il tamburino si svegliò, vide con stupore che era tutto fatto.
Ma la fanciulla disse:

- Uno dei pesci non è vicino ai suoi simili, ma è solo solo. Stasera, quando verrà la vecchia e vedrà che si è fatto proprio quel che voleva, ti domanderà:
”Cosa significa quel pesce solo solo?”.
Allora tu gettaglielo in faccia e di':
”Questo è per te, vecchia strega!”


La sera arrivò la vecchia e, appena fece quella domanda, egli le gettò il pesce in faccia. Ella finse di non accorgersene e tacque, ma lo guardò con cattiveria.
Il mattino dopo disse:

- Ieri te la sei cavata troppo a buon mercato, ti devo dare un lavoro più difficile.
Oggi devi abbattere tutto il bosco, tagliar la legna e accatastarla; e stasera dev'esse tutto finito.


Gli diede un'ascia, un maglio e due cunei; ma l'ascia era di piombo, il maglio e i cunei eran di latta.
Al primo colpo, l'ascia si piegò e il maglio e i cunei si schiacchiarono.
Il tamburino non sapeva come fare, ma a mezzogiorno tornò la fanciulla col pranzo e lo consolò:

- Mettimi la testa in grembo,

disse,

- e dormi!
Quando ti sveglierai, il tuo lavoro sarà fatto.


Girò il suo anello magico ed ecco, tutto il bosco crollò con gran fragore, la legna si spaccò da sé e si ammucchiò in cataste: pareva che invisibili giganti compiessero il lavoro.
Quando il tamburino si svegliò, la fanciulla disse:

- Vedi?
La legna è accatastata in bell'ordine, salvo quel ramo; ma stasera, quando arriva la vecchia e ti chiede cosa significa, daglielo addosso e di':
”Questo è per te, brutta strega!”


Arrivò la vecchia.

- Vedi,

gli disse,

- com'era facile il lavoro?
Ma per chi è quel ramo fuor di posto?


- Per te, strega!

rispose il tamburino, e con quello la colpì.
Ma ella fece come se nulla fosse, rise sprezzantemente e disse:

- Domattina presto devi fare un sol mucchio di tutta la legna, darle fuoco e bruciarla.

Egli si alzò all'alba e si mise a trasportar la legna; ma chi potrà da solo ammucchiare tutto un bosco?
Il lavoro non progrediva. Ma la fanciulla non l'abbandonò: a mezzogiorno gli portò il suo pranzo; e, dopo aver mangiato, egli le mise la testa in grembo e si addormentò.
Al suo risveglio, l'intera catasta ardeva in un'immensa fiamma, che alzava le sue lingue fino al cielo.

- Ascoltami,

disse la fanciulla,

- quando verrà la strega, ti farà fare le cose più strane; tu fa senza paura quello che vuole, e non ti potrà nuocere; ma se hai paura, il fuoco ti afferra e ti divora.
Da ultimo, quando avrai fatto tutto, prendila con tutte e due le mani e gettala in mezzo alla fiamma.


La fanciulla se ne andò e la vecchia s'avvicinò pian piano.

- Uh, che freddo!

disse,

- ma ecco un fuoco; brucia e mi scalda le vecchie ossa; qui mi sento bene.
Ma quel ceppo là non vuol ardere, tiramelo fuori!
Quando avrai fatto anche questo, sei libero e puoi andar dove vuoi.
Dentro, su, svelto!


Il tamburino non stette a pensarci sopra e saltò in mezzo alle fiamme; ma non gli fecero nulla, non poterono bruciacchiargli neanche i capelli.
Egli tirò fuori il ceppo e lo posò per terra.
Ma, non appena il legno toccò il suolo, si trasformò; ed ecco davanti a lui la bella fanciulla, che l'aveva aiutato in quei frangenti; e dalla veste di seta ch'ella indossava, tutta rilucente d'oro, il tamburino si accorse che era la principessa.
Ma la vecchia rise malignamente e disse:

- Tu credi che sia tua, ma non lo è ancora.

Stava per slanciarsi sulla fanciulla e trascinarla via, quando egli l'afferrò con ambo le mani, la sollevò e la gettò in pasto alle fiamme, che si richiusero bruscamente su di lei, come fossero felici di divorare una strega.
La principessa guardò il tamburino; e, perché vide che era bello e pensò che aveva rischiato la vita per liberarla, gli porse la mano e disse:

- Tu hai fatto tutto per me, ma anch'io per te farò qualunque cosa.
Se mi prometti di essermi fedele, diventerai il mio sposo.
Non mancano ricchezze: ci basta quel che la strega ha ammucchiato.


Lo condusse in casa, dove c'erano casse e cassoni, che la strega aveva riempito di tesori. Non toccarono l'oro né l'argento e presero soltanto le pietre preziose.
Non vollero restar più a lungo sul monte di vetro, e il tamburino disse alla fanciulla:

- Siediti accanto a me, sulla mia sella, e voleremo giù come uccelli.

- La vecchia sella non mi piace!

ella disse,

- basta che io giri il mio anello magico, e siamo a casa.

- Benissimo!

rispose il tamburino,

- allora desidera di esser davanti alla porta della città.

Ci furono in un attimo, ma il tamburino disse:

- Prima andrò dai miei genitori a farmi vivo; aspettami qui nel campo tornerò presto.

- Ah, ti prego!

disse la principessa,

- Bada bene: quando arrivi, non baciare i tuoi genitori sulla guancia destra, o dimenticherai tutto e io resterò qui nel campo, sola e abbandonata.

- Come posso dimenticarti?

diss'egli, e le giurò che sarebbe tornato prestissimo.
Quando entrò nella casa paterna, nessuno sapeva chi egli fosse, tanto era cambiato: perché i tre giorni, che aveva passato sul monte di vetro, erano stati tre lunghi anni. Egli si fece riconoscere e i suoi genitori, dalla gioia, gli si buttarono al collo; ed egli era così commosso, che li baciò sulle due guance e non pensò alle parole della fanciulla.
Ma, appena li ebbe baciati sulla guancia destra, il ricordo della principessa si dileguò dalla sua mente. Si vuotò le tasche, e mise sulla tavola manciate di gemme.
I genitori non sapevano cosa fare con quella ricchezza. Allora il padre costruì uno splendido castello, circondato da giardini, boschi e prati, come se ci dovesse abitare un principe.
E, quando il castello fu finito, la madre disse:

- Ho scelto una ragazza per te: fra tre giorni si faranno le nozze.

Il figlio acconsentì a tutto quel che volevano i genitori.
La povera principessa era rimasta un pezzo davanti alla città e aveva aspettato il ritorno del giovane.
Quando si fece sera, disse:

- Certo, ha baciato i genitori sulla guancia destra e mi ha dimenticata.

Il suo cuore era colmo di tristezza; desiderò di essere in una casetta solitaria nel bosco e non volle tornare alla corte di suo padre. Ogni sera andava in città e passava davanti alla casa del tamburino; a volte egli la vedeva, ma non la riconosceva più.
Alla fine, ella sentì la gente che diceva:

- Domani si celebrano le nozze.

Allora disse:

- Voglio tentare di riconquistar il suo cuore.

Il primo giorno della festa nuziale, ella girò l'anello magico e disse:

- Un abito splendente come il sole!

Ed ecco la veste davanti a lei, e risplendeva tanto, che pareva tutta tessuta di raggi di sole.
Ella entrò nella sala, quando gli ospiti furono riuniti; e tutti ammirarono quell'abito così bello, e specialmente la sposa; e siccome le belle vesti erano la sua passione, andò dalla sconosciuta e le domandò se volesse venderglielo.

- Non per denaro!

rispose,

- ma se mi è permesso passar la prima notte davanti alla camera dove dorme lo sposo, ve lo darò.

La sposa non potè vincere il suo desiderio e acconsentì, ma versò un sonnifero nel vino dello sposo, così che egli cadde in un sonno profondo.
E quando tutto fu cheto, la principessa si accoccolò davanti alla porta della camera da letto, l'aprì un poco e chiamò:

Tamburino, senti bene
M'hai del tutto già dimenticata?
Là sul monte di cristallo presso a me non sei mai stato?
Non son io che ti ho difeso dalla strega e ti ho salvato?
Ed eterna fedeltà non mi hai giurata?
Tamburino, senti bene.


Ma tutto fu inutile, il tamburino non si svegliò e allo spuntar del giorno la principessa dovette andarsene senz'aver ottenuto nulla.
La seconda sera, ella girò l'anello magico e disse:

- Un abito d'argento come la luna!

Quando apparve alla festa, la sua veste, delicata come il chiaro di luna, tornò a destare il desiderio della sposa, ed ella gliela diede; e in cambio chiese di passare anche la seconda notte davanti alla porta della camera da letto.
E, nella quiete notturna, chiamò:

Tamburino, senti bene
M'hai del tutto già dimenticata?
Là sul monte di cristallo presso a me non sei mai stato?
Non son io che ti ho difeso dalla strega e ti ho salvato?
Ed eterna fedeltà non mi hai giurata?
Tamburino, senti bene.


Ma il tamburino, stordito dal sonnifero, non si poteva svegliare.
Al mattino ella se ne tornò tristemente nella sua casa nel bosco.
Ma i servitori avevano sentito il lamento della fanciulla sconosciuta e ne parlarono allo sposo; e gli dissero che non aveva potuto sentir nulla, perché gli avevan versato un sonnifero nel vino.
La terza sera, la principessa girò l'anello magico e disse:

- Un abito scintillante come le stelle!

E, quando apparve alla festa, la sposa era proprio fuori di sé per la bellezza di quella veste, che superava di molto le altre due; e disse:

- Devo averla a tutti i costi!

La fanciulla gliela diede e, come per le altre, chiese di passar la notte davanti alla porta dello sposo.
Ma lo sposo non bevve il vino che gli fu dato prima che si coricasse, e lo versò dietro il letto.
Quando in casa fu tutto cheto, sentì una voce dolce che lo chiamava:

Tamburino, senti bene
M'hai del tutto già dimenticata?
Là sul monte di cristallo presso a me non sei mai stato?
Non son io che ti ho difeso dalla strega e ti ho salvato?
Ed eterna fedeltà non mi hai giurata?
Tamburino, senti bene.


D'un tratto gli tornò la memoria.

- Ah,

esclamò,

- come ho potuto agire con tanta perfidia!
Ma la colpa è del bacio, che nella gioia ho dato ai miei genitori sulla guancia destra; quel bacio mi ha stordito.


Saltò in piedi, prese per mano la principessa e la condusse al letto dei suoi genitori.

- Questa è la mia vera sposa!

disse,

- se sposo l'altra, commetto una grande ingiustizia.

I genitori, quando seppero tutto quel ch'era successo, diedero il consenso. Si riaccesero i lumi nella sala, si portarono timpani e trombe, s'invitarono di nuovo amici e parenti; e le vere nozze furon celebrate con gran festa.
La prima sposa, come risarcimento, si tenne quei bei vestiti e si disse contenta.