Per cinque anni il nostro giardino era rimasto abbandonato.
Assunsi degli operai a giornata con accette e zappe, e mi misi a lavorare anch'io insieme con loro per riordinarlo.
Tagliammo e potammo i rami secchi e quelli selvatici, i cespugli e gli alberi superflui.
Soprattutto erano cresciuti e si erano infoltiti i pioppi e i ciliegi selvatici.
Il pioppo è una pianta che ha molte radici, e non è possibile svellerlo senza recidere tutte le radici sottoterra.
Al di là del laghetto sorgeva un pioppo così enorme che per abbracciarlo occorrevano due persone.
Attorno si stendeva una piccola radura tutta invasa da giovani polloni.
Ordinai agli uomini di tagliarli: volevo che quel posto diventasse più allegro e, più che altro, intendevo alleggerire quel vecchio pioppo perché pensavo che quei giovani polloni che venivano su dalle sue radici gli succhiassero la linfa.
Mentre stavamo tagliando i giovani pioppi mi faceva pena, a momenti, veder troncare sotto terra le loro radici, ricche di linfa, o mettersi in quattro a tirare senza riuscirci, per strappare un pioppetto già intaccato dalle scuri.
Esso resisteva con tutte le sue forze e non voleva morire.
Io pensavo:
"Evidentemente è necessario che viva, se con tanta tenacia si aggrappa alla vita!"
Ma bisognava tagliarli, e io li feci tagliare.
In seguito, ma era ormai troppo tardi, mi resi conto che non si doveva distruggerli.
Io avevo creduto che le giovani piantine togliessero al vecchio pioppo tutta la sua linfa; e invece era accaduto proprio il contrario.
Mentre li tagliavo, il vecchio pioppo stava già per morire.
Quando sbocciarono le foglie, notai che uno dei suoi rami (l'albero si era biforcato in due rami) restava nudo, e in quella stessa estate si seccò.
Da un pezzo, dunque, il pioppo stava morendo e, poiché lo sapeva, aveva voluto trasmettere ai giovani polloni la sua vita.
Per questo essi si svilupparono così in fretta. Io, invece, per dargli sollievo, avevo ucciso tutti i suoi figli.