Quando ero ragazzo, i miei fratelli e io passavamo le giornate a studiare; soltanto le domeniche e i giorni festivi andavamo a passeggio e giocavamo.
Un giorno il babbo ci disse:
- Bisogna che i ragazzi più grandicelli imparino ad andare a cavallo.
Bisogna mandarli al maneggio.
Io che ero il più piccolo dei fratelli chiesi:
- Non potrei imparare anch'io?
Il babbo mi rispose:
- Tu cadresti!
Ma io lo pregai di far imparare anche a me, e stavo quasi per piangere.
Il babbo allora disse:
- Bene, impara anche tu.
Però bada di non piangere quando cadrai.
Chi non cade almeno una volta da cavallo non imparerà mai a cavalcare.
Quando arrivò il mercoledì, ci condussero tutti e tre al maneggio.
Entrammo su un grande terrazzo, di lì scendemmo in uno assai piccolo, sotto il quale si trovava un vasto stanzone.
Nello stanzone, al posto del piancito, c'era della sabbia. E in quello stanzone cavalcavano signore e signori, e anche dei ragazzi come noi.
Quello stanzone era il maneggio.
Nel maneggio non c'era molta luce, si sentiva odor di cavalli, lo schioccar delle fruste per incitar gli animali e il rumore di zoccoli che battevano sulle pareti di legno. Io, sulle prime, mi spaventai e non riuscii a distinguere nulla.
Poi il nostro istitutore chiamò l'istruttore e gli disse:
- Date i cavalli a questi ragazzi: devono imparare a cavalcare.
E l'istruttore rispose:
- Benissimo!
Poi guardò attentamente me e aggiunse:
- Ma questo è troppo piccolo!
L'istitutore replicò:
- Ha promesso di non piangere quando cadrà.
L'istruttore si mise a ridere e se ne andò.
Poi ci furono condotti tre cavalli sellati; noi ci togliemmo il cappotto e per quella scaletta scendemmo giù al maneggio.
L'istruttore teneva il cavallo per la coda e i miei fratelli, in sella, giravano attorno a lui, prima al passo, indi al trotto.
Poi fu condotto un cavallo piccolo: era di mantello fulvo e aveva la coda mozza.
Si chiamava Cervoncik.
L'istruttore si mise a ridere e mi disse:
- Su, cavaliere, montate!
Io ero felice e insieme timoroso, ma cercavo di fare in modo che nessuno se ne accorgesse.
Per un bel pezzo tentai di infilare il piede nella staffa, ma non ci riuscivo perché ero troppo piccolo.
Allora l'istruttore mi sollevò tra le braccia e mi mise a sedere sulla sella.
E disse:
- Non è pesante, il signorino.
Da principio mi teneva per un braccio: ma io avevo veduto che i miei fratelli nessuno li teneva e lo pregai che mi lasciasse.
Egli chiese:
- E non avete paura?
Io avevo paura, e molta, ma dissi di no.
Soprattutto avevo paura perché il cavallo continuava ad abbassare le orecchie, e io credevo ce l'avesse con me.
L'istruttore mi disse:
- Attento, eh, non cadete!
E mi lasciò il braccio.
Sulle prime il cavallo andava al passo, e io mi tenevo ben diritto.
Ma la sella era sdrucciolevole e temevo di scivolare.
L'istruttore mi chiese:
- Be, come va?
Vi reggete bene?
E io gli risposi:
- Certamente!
- Dunque, ora al trotto!
E l'istruttore fece schioccar la lingua.
Il cavallino si avviò al piccolo trotto, e io cominciai a sentirmi scivolare.
Ma non dicevo nulla e facevo ogni sforzo per non cadere di lato.
L'istruttore mi elogiò:
- Ma bravo, cavaliere, molto bene!
E io ne fui tutto contento.
In quel momento si avvicinò all'istruttore un amico e si mise a discorrere con lui.
L'istruttore cessò di badare a me.
Tutt'a un tratto mi resi conto che ero scivolato un po’ di lato dalla sella.
Cercai di raddrizzarmi, ma non ci riuscii.
Volevo chiamare l'istruttore affinché mi fermasse, ma mi parve che sarebbe stato mortificante se l'avessi fatto, e tacqui.
L'istruttore non mi guardava.
Il cavallo continuava ad andare al trotto, e io scivolavo sempre di più.
Lanciai un'occhiata all'istruttore pensando che sarebbe venuto in mio aiuto, ma egli chiacchierava sempre con il suo amico e, senza neanche guardarmi, diceva:
- È in gamba il piccolo cavaliere!
Io ero ormai completamente sbilanciato e avevo una gran paura.
Pensavo che sarei caduto.
Ma mi vergognavo all'idea di gridare.
Cervoncik mi diede ancora una scrollata, io scivolai del tutto e caddi a terra.
Allora il cavallo si fermò, l'istruttore si voltò e vide che non ero più in sella.
Disse:
- To, il mio cavaliere è caduto!
E mi si avvicinò.
Quando lo ebbi assicurato che non mi ero fatto male, egli si mise a ridere e mi disse:
- I ragazzini hanno il corpo elastico!
Io avevo voglia di piangere.
Chiesi che mi rimettessero in sella e mi ci rimisero.
E non caddi più.
Così, due volte alla settimana, si andava al maneggio, e io imparai presto a cavalcare bene, e non avevo più alcuna paura.