Avevo come istruttore un certo Ivan Andreic.
Egli mi insegnò a sparare quando avevo appena tredici anni.
Mi diede un piccolo fuciletto e mi faceva sparare quando si andava a passeggio.
Una volta ammazzai una cornacchia, un'altra volta una gazza.
Ma il babbo non sapeva che io fossi capace a tirare.
Un giorno d'autunno, era l'onomastico della mamma, aspettavamo lo zio a pranzo, e io stavo alla finestra e guardavo da quella parte da cui sarebbe dovuto arrivare, mentre il babbo andava su e giù per la stanza.
A un tratto vidi spuntare da dietro il boschetto i quattro cavalli grigi e la carrozza, e gridai:
- Arriva, arriva!
Il babbo si affacciò alla finestra, scorse la carrozza, prese il berretto e andò incontro allo zio sulla scaletta d'ingresso.
Io gli corsi dietro.
Il babbo salutò lo zio e gli disse:
- Entra, dunque!
Ma lo zio rispose:
- No, prendi il tuo fucile migliore e vieni con me.
Là, proprio dietro il boschetto, ho visto un bel leprotto accovacciato tra l'erba.
Prendi il fucile e andiamo: lo acchiapperemo.
Il babbo si fece portar la pelliccia e il fucile; io corsi di sopra, in camera mia, misi il cappello e presi il mi fucile.
Allorché il babbo si fu seduto in carrozza con lo zio, io mi rannicchiai dietro con il mio fucile, perché nessuno mi vedesse.
Non appena la carrozza uscì dal boschetto, lo zio ordinò al cocchiere di fermarsi; s'alzò e disse:
- Vedi là in fondo qualcosa di grigio?
A destra c'è un ciuffo d'erba?
E a sinistra, a cinque passi... vedi?
Il babbo guardò per un bel pò ma non riusciva; vedere nulla.
Io, così in basso com'ero, non potevo vedere.
Finalmente il babbo scorse il punto indicato e con lo zio si avviò per il campo.
Il babbo teneva il fucile pronto, e lo zio continuava a fargli segno.
Io li seguivo con il mio fuciletto e non riuscivo a scorgere nulla.
Ma ero contento che nessuno si fosse accorto di me.
Proseguimmo così per un centinaio di passi.
Il babbo si fermò, fece per sparare, ma lo zio lo trattenne:
- No, siamo troppo lontani, andiamo più avanti.
Si lascia ancora avvicinare.
Il babbo gli diede ascolto, ma avevano fatto pochi passi che il leprotto balzò su, e io riuscii appena a vederlo.
Era una bella lepre, quasi bianca; solo il dorso era grigio argentato.
Scattò, alzò un orecchio e saltellando si allontanò da noi.
Il babbo mirò e: clop!
La lepre continuava a correre.
Il babbo sparò di nuovo e la lepre correva sempre.
Io ormai non pensavo più né al babbo né a tutto il resto.
Prendo la mira e: clop!
Guardo, e io stesso non credo ai miei occhi: la lepre è rovesciata a terra e agita solo una delle zampette posteriori.
Il babbo e lo zio si voltano.
- Da dove spunti, tu?
Sei in gamba!
Da quel giorno mi lasciarono il mio fucile e mi diedero il permesso di sparare.