Un contadino, armato di una lunga pertica, spingeva le sue oche verso la città per venderle.
Per dir la verità, egli non era troppo garbato col suo branco d'oche, ma si affrettava, perché era giorno di mercato e si riprometteva un buon guadagno. (E quando c'è l'interesse di mezzo, non solo le oche, ma anche gli uomini ne soffrono).
Io non accuso il contadino per questo, ma evidentemente le oche la pensavano diversamente e incontrato un passante, si lagnarono con lui:
- Dove si possono incontrare oche più infelici di noi?
Il contadino ci comanda a bacchetta e ci fa correre come se non fossimo nient'altro che oche, senza pensare per nulla a usare dei riguardi a noi che siamo l'illustre discendenza di quelle oche che un giorno salvarono Roma.
Là furono persino istituite delle feste in loro onore.
- E voi vorreste essere riverite per questo?
Chiese il passante.
- Certo, poiché le nostre antenate...
- Lo so, l'ho letto!...
Le interruppe il passante.
- Ma io vorrei sapere quale utile avete recato voi.
- Le nostre antenate hanno salvato Roma!
- Bene, ma voi che cosa avete fatto?
- Noi?...
Niente!
- Allora, questo è il bene vostro?
Lasciate in pace le vostre antenate: giustamente esse furono onorate.
Quanto a voi, amiche care, vedo che siete buone solo ... ad essere arrostite!
Potrei spiegare questa favola con molte osservazioni, ma è
meglio non irritare le oche!