Il principe Volga partì con i suoi compagni e andò per città e villaggi a riscuotere dai contadini il tributo a cui erano tenuti.
Il principe cavalcava per l'aperta campagna, quando udì un contadino che, fischiettando, lavorava. Si udiva di lontano scricchiolare l'aratro, stridere il vomero contro le pietre, ma da nessuna parte del gran campo si scorgeva l'aratore. Si diresse allora Volga verso quei suoni, cavalcò per tutto il giorno, dall'alba
alla sera, ma non riuscì di trovar colui che arava.
Per un altro giorno intero Volga cavalcò dalla mattina alla sera senza trovarlo. Si udiva un contadino che arava e fischiettava, si udiva lontano stridere l'aratro e il vomero urtare contro le pietre, ma nel campo il contadino non c'era.
Il terzo giorno, verso il mezzodì, Volga raggiunse nel campo l'aratore: arava e, pungolando la giumenta, apriva un solco da un capo all'altro, rivoltando con il vomero pietre e radici; quando il contadino giungeva all'estremità di un solco, dall'altro capo non lo si vedeva più.
Il suo aratro era tutto di acero, il vomero di acciaio, le cinghie della giumenta di seta, e la giumenta color marrone dorato.
Si rivolse Volga al contadino con queste parole:
- Salve, contadino aratore!
Che Iddio ti aiuti, e che tu possa con il suo aiuto arare, coltivare la terra, scavare un solco profondo e sassi e radici rivoltare!
- Grazie, o principe Volga!
L'aiuto di Dio ci occorre; ci occorre l'aiuto di Dio per arare e per coltivare la terra.
Ma tu, vai lontano con questi tuoi compagni?
Ti condurrà lontano, Iddio?
Dove sei diretto?
Volga rispose al contadino:
- Io vado, o contadino, con i miei compagni per villaggi e città a riscuotere i tributi.
Su, vieni anche tu con me, come compagno.
Il contadino piantò l'aratro nel solco, tolse alla giumenta i finimenti di seta, le montò in groppa e partì con Volga e con i suoi compagni.
Poi il contadino disse queste parole:
- Ho fatto male, Volga, a lasciare il mio aratro nel solco, come potrò ora liberarlo dalla terra e metterlo al riparo di un cespuglio di salici?
Volga mandò allora due dei suoi prodi con l'ordine di cavar dalla terra l'aratro e di metterlo al riparo dei salici.
I prodi andarono, balzarono nel solco dai loro bei destrieri e afferrarono l'aratro di acero; ma l'aratro non si muoveva dal solco.
Lo fecero girare su se stesso, ma non riuscirono a staccarlo dalla terra e a metterlo al riparo dei cespugli.
Volga mandò allora tutti i suoi compagni con l'ordine di far uscire dal solco l'aratro, di ripulire il vomero della terra e di metterlo al riparo di un cespuglio.
Tirarono forte tutti insieme, ma non riuscirono che a far girare l'aratro in tondo su se stesso senza poterlo cavar dal solco, senza liberare il vomero dalla terra, e senza metterlo al riparo di un cespuglio.
Accorse allora il contadino in groppa alla sua cavalla saura; si accostò al suo aratro di acero, l'afferrò con la mano, lo fece uscire dal solco, ripulì il vomero dalla terra e lo mise al riparo all'ombra dei cespugli di salici.
Risalirono tutti in groppa ai destrieri e galopparono via. Sbucarono su un sentiero.
La cavalla del contadino andava al passo, il cavallo di Volga
galoppava; se la cavalla si metteva al trotto, il cavallo di Volga restava indietro.
Senza incitar la bestia, il contadino era sempre in testa a tutti.
Volga cercava di raggiungerlo, e infine gridò di lontano, sventolando il suo alto berretto:
- O contadino, valoroso aratore, arrestati e aspettami!
Tenerti dietro, contadino, non si può!
Il contadino si voltò, mise al passo la giumenta; dopo averlo raggiunto Volga gli rivolse queste parole:
- Tu hai una buona cavalla: se la tua bestia fosse uno stallone potrebbe valere cinquecento rubli!
Gli rispose il contadino:
- Volga, sei sciocco, e vai dicendo sciocchezze.
Questa cavalla l'ho presa puledrina da sotto la madre, e per lei ho pagato cinquecento rubli.
Se fosse uno stallone, non avrebbe prezzo!
Chiese allora Volga:
- Ma dimmi, contadino, qual è il tuo nome e quale il cognome, come devo chiamarti?
Rispose il contadino:
- Quando mieterò la segala, la legherò in covoni, la riporterò in casa, farò la birra e chiamerò i contadini dei dintorni, essi mi acclameranno così:
-Evviva a te, glorioso Mikula, evviva a te, Mikuluska, glorioso figlio di Seljaninov!