"Aver ragione" è la naturale vocazione della follia.
Essere ebreo è una condizione umana estrema, terribile e insondabile; una condizione di cui l’occidentale ha paura; e noi sappiamo che si ha paura di ciò che sta dentro di noi, non di ciò che ci è estraneo.
Finché c'è al mondo un bimbo che muore di fame, fare letteratura è immorale.
Già il fatto che un libro sia un romanzo non depone a suo favore, è un connotato lievemente losco, come i berretti dei ladruncoli, i molli feltri dei killers, gli impermeabili delle spie.
Gli intellettuali. Questo risibile quinto stato.
I poveri sono le brioches dell'anima.
In definitiva, ha qualcosa da insegnare solo chi non vuole insegnare.
In generale, gli scrittori sono convinti segretamente di essere letti da Dio.
Io amo le macchine imprecise, i computer che sbagliano, i semafori che s'incantano.
L'antisemitismo non è un fenomeno di malvagità politica, troppo lunga è la sua storia per non sospettare che nasconda qualcosa di terribile, una sorta di follia che sempre colpisce chi froda se stesso e mente sul proprio destino.
L'ebreo è esule: e noi crediamo di non esserlo?
L'importante è proporre delle ipotesi. Nessuna attività è più nobile di questa, più degna dell'uomo.
L'uomo vive di pane e pigiama.
La letteratura, ben lungi dall'esprimere la totalità dell'uomo, non è espressione, ma provocazione.
La vita è e deve essere un negativo dei sogni.
Letteratura è un gesto non solo arbitrario, ma anche vizioso: è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio.
Letteratura. Quando getta via la propria anima trova il proprio destino.
Lo scrittore deve adescare, non deve raccontare niente, non ha nessun compito di trasmettere verità.
Lo scrittore sceglie in primo luogo di essere inutile.
Lo scrittore è colui che è sommamente, eroicamente incompetente di letteratura.
Nella nostra cultura noi non riusciamo a pensare al paradiso, per il momento, se non come una variante particolarmente luminosa del nulla.
Nello psicoanalista c'è una strana mescolanza del fool e del prete, direi del vescovo e del ciarlatano.
Non c'è al mondo oggetto librario più fascinoso, seducente, innamorativo di una Enciclopedia.
Non conosco migliore scuola di anarchia del matrimonio indissolubile.
Non credetegli quando dicono che lo scrittore deve adoperare una lingua che tutti devono capire. Non la deve capire nessuno! Figurarsi. Devono leggerla, rileggerla; sennò quale sarebbe la polivalenza linguistica dello scrittore nel tempo?
Ogni viaggio comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece.
Questo gioco arcaico, matematico, simbolico, non ha nulla dello sport: non produce campioni fatti di carne di manzo, non è cordiale, è silenzioso, maniacale, malsano, genera nevrotici protagonisti di un freddo sogno di simboli e tornei, di numeri e di re.
Serve a qualcosa il paradiso? o la sua perfezione include l'inutilità?
Un lettore professionista è in primo luogo chi sa quali libri non leggere.
Un linguaggio è un gigantesco "come se".
Una parola è un incantamento, una evocazione allucinatoria, non designa una 'cosa', ma la cosa diventa parola.