A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra.
Chi prega è santo, ma chi fa, più santo.
Ciò che piace, è sì il molto; ma il poco è ciò che appaga.
I poeti hanno abbellito agli occhi, alla memoria, al pensiero degli uomini, la terra, il mare, il cielo, l'amore, il dolore, la virtù; e gli uomini non sanno il loro nome.
Il dolore del poeta è di così mirabile natura che anche quando il suono ne è triste, l’eco ne è dolce.
Il dolore è ancor più dolore se tace.
Il mistero, nella vita, è grande, e il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura.
Il nuovo non s'inventa: si scopre.
Il poco è molto a chi non ha che il poco.
Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta.
Il poeta, se è e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce perciò ispiratore di buoni e civili costumi, d'amor patrio e familiare e umano.
Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo.
Il sogno è l’infinita ombra del vero.
La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, la famiglia, l'umanità, è, dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova.
La poesia, costretta a essere poesia sociale, poesia civile, poesia patriottica, intristisce sui libri, avvizzisce nell'aria chiusa della scuola, e finalmente ammala di retorica, e muore. E noi di questa pseudopoesia ne abbiamo tanta.
La poesia, non ad altro intonata che a poesia, è quella che migliora e rigenera l'umanità, escludendone, non di proposito il male, ma naturalmente l'impoetico.
La sostanza psichica è uguale nei fanciulli di tutti i popoli. Un fanciullo è fanciullo allo stesso modo da per tutto. E quindi, né c'è poesia arcadica, romantica, classica, né poesia italiana, greca, sanscrita; ma poesia soltanto, soltanto poesia, e...non poesia.
La vita, senza il pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico.
Non c'è forse sentimento al mondo, nemmeno l'avidità del guadagno, che sia tanto contrario all'ingenuità del poeta, quanto questa gola di gloria, che si risolve in un desiderio di sopraffazione!
Non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero.
Oh! Come è necessaria l'imperfezione per essere perfetti!
Per la poesia la giovinezza non basta: la fanciullezza ci vuole!
Perché dolore è più dolor, se tace.
È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi.