A insegnarci la malleabilità del tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in effetti sparisce sul serio e non si presenta mai piú.
Che felicità può esserci nel solo ricordo della felicità?
Ciò che finisci per ricordare non è sempre la stessa cosa di cui sei stato testimone.
Come ogni cambiamento storico o politico prima o poi delude, cosí succede con il diventare adulti. Con la vita.
Da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri.
Dalle nostre letture dei classici sapevamo che l’amore comportava sofferenza e ci saremmo volentieri allenati a soffrire se ciò avesse comportato la tacita, perfino ragionevole promessa che prima o poi sarebbe arrivato l’amore.
Eravamo presuntuosi, se no a che serve essere giovani?
Forse il carattere è simile all’intelligenza, anche se raggiunge il suo picco massimo leggermente piú tardi, tra i vent’anni e i trenta.
Forse il mondo non progredisce maturando, bensí mantenendosi in uno stato di perenne adolescenza, di emozionata curiosità.
I libri dicono: lei ha fatto questo perché. La vita dice: lei ha fatto questo. I libri sono dove ti vengono spiegate le cose, la vita dove le cose non vengono spiegate.
I sogni sono una fonte immancabile di consolazione.
Il dolore ti rovescia lo stomaco, ti toglie il respiro, riduce l’apporto di sangue al cervello; il lutto sospinge in una direzione nuova.
Il dolore è una sorta di ruggine dell’anima che ogni idea nuova contribuisce a eliminare.
Il fatto che una persona sia morta può volere dire che non è viva, ma non che non esiste.
Il matrimonio è un pranzo interminabile con il dolce servito per primo.
La cura per la solitudine è stare da soli.
La storia non è ciò che è successo. La storia è solo quello che gli storici ci dicono.
La storia è quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione.
La vita non è affatto all’altezza della propria fama.
La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti.
La vita è di una precisione assoluta; si soffre nell’esatta misura di quanto vale la perdita, perciò si finisce per affezionarsi al dolore.
Lo scopo dell’esistenza è quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale.
Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e si schiantino. Ma a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia.
Nella prima parte della vita, il mondo si divide grossolanamente tra chi ha già fatto sesso e chi no. Piú avanti, tra chi ha conosciuto l’amore e chi no. Piú tardi ancora, se si è fortunati almeno (o forse sfortunati, in realtà) si divide tra chi ha vissuto il dolore e chi no. Si tratta di differenze assolute; di tropici che attraversiamo.
Non c'è soltanto la vita che conosciamo. Né solo la vita che siamo riusciti a nascondere. Non ci sono soltanto le varie menzogne sulla vita, alcune delle quali ormai non possono più essere messe in dubbio. C'è anche la vita che non è stata vissuta.
Non occorre partecipare: la felicità risiede nell’immaginazione, non nell’atto.
Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori. È fatta piú dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti.
Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l’uno, per l’altro. Per tutti e due, qualche volta.
Per guardare il sole, usiamo vetri fumé; per il passato, dovremmo ricorrere a vetri colorati.
Piú impari, meno temi.
Procediamo a casaccio, prendiamo la vita come viene, ci costruiamo a poco a poco una riserva di ricordi. Ecco il problema dell’accumulo.
Qualche volta ci è dato di raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno attraverso l’arte, altri con la religione; nove su dieci, con l’amore.
Quando si è giovani, si preferiscono i mesi volgari, le stagioni piene. Invecchiando si impara ad apprezzare i periodi intermedi, quei mesi che non si sanno decidere. Forse è un modo per ammettere che le cose non potranno mai piú avere la stessa certezza. O forse soltanto un modo di ammettere che preferiamo i traghetti vuoti.
Quando si è giovani, si vogliono provare sentimenti simili a quelli di cui leggiamo nei libri. Passioni che ti sconvolgono la vita, che creano e definiscono una realtà nuova. Piú tardi vogliamo dai sentimenti qualcosa di piú pratico e modesto: che siano di sostegno alla nostra vita per come è diventata e si manifesta.
Rimorso significa morsicato due volte: ed è questa la sensazione che si prova.
Se nostalgia significa il ricordo potente di un’emozione forte, e il rimpianto di non ritrovare piú sensazioni del genere nella vita, allora mi dichiaro colpevole.
Se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi.
Sfido io che alcuni preferiscono i libri. Perché danno un senso alla vita. L’unico problema è che le vite alle quali danno un senso sono quelle di altri, mai la nostra.
Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere coi piedi per terra, eppure, e perciò, aspiriamo a elevarci.
Soltanto tempo e lavoro possono lenire il lutto.
Soltanto un primordiale istinto narrativo, a sua volta palese strascico delle religioni, impone retrospettivamente un senso a ciò che è o non è accaduto.
È facile, dopo tutto, non essere uno scrittore. La maggior parte della gente non lo è e gli accadono solo piccoli inconvenienti.
È negli occhi che abbiamo incontrato l’altro ed è lí che ancora lo troviamo.
È questo che distingue sul serio le persone: la differenza non è tra chi ha segreti e chi non ne ha, ma tra chi vuol sapere e chi no. A mio giudizio, voler sapere è segno d’amore.